Quando il Signore ci richiama alla sua casa, siamo sempre
impegnati in un qualche progetto da concludere. Sergio Marchionne era
sicuramente impegnato a programmare chissà quale nuova impresa industriale, di
sicuro aveva terminato il suo progetto in Fiat, e aveva già presentato i
programmi da qui al 2022, ma è tornato alla casa del Padre prima di poter
ufficialmente concludere il suo mandato alla formale scadenza.
E i progetti per gli anni da qui al 2022, presentati alla stampa
poche settimane fa, parlano del consolidamento di quell’indirizzo impostato da
Marchionne per tutto il gruppo FCA: aumentare la redditività andando ad
espandersi su modelli di fascia sempre superiore, caratterizzati da una
maggiore redditività. Al di là del confronto con la FIAT Pre-Marchionne, su cui
è fin troppo facile ironizzare, il mercato automobilistico è caratterizzato da
case, anche prestigiose, che purtroppo allargano le loro gamme verso il basso,
perdendo alla fine in redditività, salvo ogni tanto tentare maldestri salti in
alto.
La ricerca della redditività, che sembra una cosa scontata
se fai impresa, è invece quanto di più frainteso nelle aziende. Nel mercato automobilistico non ne parliamo, la scuola economica austriaca non è di casa nemmeno in questo settore, si costruiscono stabilimenti troppo grandi e poi ci si arrabatta per farli lavorare, anche a costo di produrre auto meno redditizie.
Marpionne, come da geniale nomignolo inventato da quell’altro genio di Roberto D’Agostino ha applicato alla perfezione tutto ciò che viene insegnato nelle scuole di management. La sua avventura alla Fiat è una di quelle di cui non si può dire “sarebbe stato meglio se avesse fatto in questo o in quest’altro modo”. I risultati economici parlano da se, e la Jeep, L’Alfa Romeo e la Maserati dei prossimi anni andranno a consolidarsi sempre più sul mercato con modelli sempre più prestigiosi. E redditizi.
Marpionne, come da geniale nomignolo inventato da quell’altro genio di Roberto D’Agostino ha applicato alla perfezione tutto ciò che viene insegnato nelle scuole di management. La sua avventura alla Fiat è una di quelle di cui non si può dire “sarebbe stato meglio se avesse fatto in questo o in quest’altro modo”. I risultati economici parlano da se, e la Jeep, L’Alfa Romeo e la Maserati dei prossimi anni andranno a consolidarsi sempre più sul mercato con modelli sempre più prestigiosi. E redditizi.
Allergico alle cosiddette mode manageriali, anche
sull’elettrico Marpionne è stato a dir poco pragmatico: quando si trattò di
produrre la 500 elettrica per poter vendere auto in California, disse
chiaramente:”La 500 elettrica l’abbiamo fatta, ma per favore non compratela, ci
perdiamo 12.000 $ su ogni esemplare”, facendo crollare la cortina di ipocrisia
su una verità che tutti nel settore sapevano, ma nessuno aveva il coraggio di
dire. Più recentemente, insignito di una laurea honoris causa in ingegneria, ha
ancora una volta parlato chiaro sul fatto che il “solo elettrico” sia una
soluzione inefficiente, soprattutto in un mondo che produce energia elettrica
bruciando carbone.
L’elettrico rimarrà ancora per decenni un giocattolo per
ricchi, ed a questi ricchi Alfa Romeo, Maserati e Jeep venderanno auto solo
elettriche estremamente costose, che non faranno perdere soldi e anzi daranno
un utile. Pragmatismo, solo pragmatismo, in una parola.
Lo so il pragmatismo è una bestemmia nello stivale, ma
appunto Marpionne non era italiano. Figlio di una esule istriana, di una degli
unici “migranti” che l’Italia avrebbe dovuto solo aiutare e che invece una
certa parte di Italia ha addirittura ostacolato. Marchionne non era italiano
perché erano emigrati in Canada, ma soprattutto perché ha raggiunto grandi
risultati col solo lavoro e studio. Imperdonabile in una certa Italia dove devi
essere figlio di, e poi quando ti sgamano che sei stato assunto in una certa
posizione pubblica o privata in quanto figlio di, saltano pure fuori i
difensori d’ufficio a dire che “è perché sei bravo”.
Marpionne non era italiano
perché ha osato proporre dei patti ai sindacati, su cui i dipendenti sono stati
chiamati a votare: in una parola ha smontato le manfrine della concertazione e
messo a nudo l’ipocrisia di un certo sindacato. E questa cosa da una certa
Italia non è mai stata perdonata. Fare ironia su Marchionne era la cosa più
facile del mondo, l’hanno fatta i politici più patetici e ridicoli. “Il
canadese” così veniva definito dal politico più patetico di tutti, il
“monegasco”, come se essere “canadese” fosse un insulto. Per non parlare dell’ipocrisia
sulla residenza svizzera: ditemi voi perché mai sulla terra un canadese debba
prendere la residenza in Italia e farsi rapinare del 70% delle retribuzioni.
Marpionne non era italiano perché è stato il più lontano possibile dalla politica: non ha potuto evitare di averci a che fare, e le sue aziende hanno avuto la loro parte di favori, ma il minimo indispensabile, e comunque un’azienda che impiega decine di migliaia di dipendenti non può non averci a che fare con la politica, dato che la politica pretende di mettere il becco nelle scelte dell’azienda. Per non parlare dell’uscita da Confindustria…
Le scelte di Sergio Marchionne verranno studiate nelle
scuole di management, mentre gli ultimi insulti che qualche poveretto continua
a indirizzargli sono altrettante medaglie al merito. Ottenere il plauso di
qualche politico di professione che non ha mai fatto nulla di buono nella vita
non sarebbe certo un vanto.
L’auto dello sbarco in Cina, anche questo un altro grande
merito di Sergio Marchionne, si chiama Fiat Viaggio, forse era destino: Buon
Viaggio Marpionne.